«Jean-Loup Verdier, ancora. Ancora Voices, da Radio Monte Carlo, sperando che in questa bella notte di maggio non ci siano persone che abbiano bisogno del nostro aiuto, ma solo della nostra musica. Mi hanno appena fatto segno che c’è una telefonata.»
Infatti, la luce rossa in alto sulla parete si era accesa e Lourent aveva pntato verso di lui l’indice della mano destra, per confermargli che c’era una chiamata in linea. Jean-Loup si appoggiò con i gomiti sul piano del tavolo e si rivolse al microfono che aveva davanti.
«Pronto?»
Ci furono in paio di scariche e poi il silenzio. Jean-Loup alzo la testa e guardò Lourent inarcando le sopracciglia. Il registra si strinse nelle spalle a indicare che il problema non veniva da loro.
«Sì, pronto?»
Finalmente la risposta arrivò verso l’aria e nell’aria la radio la rimandò e divenne di tutti. Prese posto nelle casse di diffusione della regia e nella loro mente e nella loro vita. Da quel momento in poi il buio sarebbe diventato un po’ più buio e sarebbe servito molto rumore per coprire tutto quel silenzio.
«Ciao, Jean-Loup.»
C’era qualcosa di innaturale nel suono di quella voce. Sembrava intubata ed era stranamente piatta, senza espressione e senza colore. Le parole avevano la scia di un’eco soffocata, come un lontano aereo in partenza.
Di nuovo Jean-Loup guardò interrogativamente Lourent, che usò ancora l’indice della mano destra, descrivendo dei brevi cerchi in aria, per indicare che la distorsione dipendeva dalla comunicazione.
«Ciao. Chi sei?»
Ci fu un istante di esitazione all’altro capo del filo. Poi la risposta quasi soffiata nel suo innaturale riverbero.
«Non ha importanza. Io sono uno e nessuno.»
«La tua voce è disturbata, si sente male. Da dove chiami?»
Pausa. La leggera scia di in aereo diretto chi sa dove.
L’interlocutore non rilevò l’appunto di Jean-Loup.
«Anche questo non ha importanza. L’unica cosa che conta è che è arrivato il momento di parlarci, anche se questo vuol dire che dopo né tu né io saremo più gli stessi.»
«In che senso?»
«Io sarò presto un uomo inseguito e tu sarai dalle parte dei cani abbaianti che daranno la caccia alle ombre. È un peccato, perché adesso, in questo preciso momento, tu e io siamo uguali, siamo la stessa cosa.»
«In cosa siamo uguali?»
«Per il mondo siamo tutte e due una voce senza volto, da ascoltare con gli occhi chiusi, immaginando. Là fuori è pieno di gente occupata solo a procurarsi una faccia da mostrare con orgoglio, a costruirsene una che sia diversa da tutte le altre, senza nessuna preoccupazione all’infuori di quella. È il momento di uscire a vedere cosa c’è dietro…»
«Non capisco cosa vuoi dire.»
Ancora una pausa, lunga abbastanza da far sembrare caduta la comunicazione. Poi la voce ritornò e qualcuno ebbe l’impressione di sentirci l’impronta di un sorriso.
«Capirai, nel tempo.»
«Non riesco a seguire i tuoi ragionamenti.»
Ci fu una leggera pausa, come se l’uomo, all’altro capo del filo, stesse studiando le parole.
«Non fartene un problema. A volte è difficile anche per me.»
«E allora perché hai chiamato, perché stai qui a parlare con me?»
«Perché io sono solo.»
Jean-Loup chinò la testa sul tavolo e la strinse tra le mani.
«Parli come un uomo che sta chiuso in una prigione.»
«Tutti siamo chiusi in una prigione. La mia me la sono costruita da sola ma non per questo é più facile uscirne.»
«Mi spiace per te. Credo di intuire che non ami la gente.»
«Tu la ami?»
«Non sempre. A volte cerco di capirla e quando no ci riesco cerco almeno di non giudicarla.»
«Anche in questo siamo uguali. L’unica cosa che ci fa differenti è che tu, quando hai finito di parlare con loro, hai la possibilità di sentirti stanco. Puoi andare a casa e spegnere la tua mente ed ogni sua malattia. Io no. Io di notte non posso dormire, perché il mio male non riposa mai.»
«E allora tu che cosa fai per curare il tuo male?»
Jean-Loup incalzò leggermente il suo interlocutore. La risposta si fece attendere e fu come se un oggetto avvolto in diversi strati di carta prendesse lentamente la luce.
«Io uccido…»
«Che signif…»
La voce di Jean-Loup fu interrotta da una musica che uscì dalle casse. Era un brano arioso, malinconico, dalla melodia coinvolgente, eppure, dopo quelle ultime due parole, parve diffondersi nell’aria come una minaccia. Durò in tutto una decina di secondi, poi di colpo come era arrivata, la musica si spense.